I monumenti

Ultima modifica 7 novembre 2022

 
RIVERGARO - Oratorio di S.Rocco

Oratorio San Rocco

L'inizio o fondazione della Confaternita sembra debba risalire alla iniziativa dei fatelli conte Anton Maria, canonico della Cattedrale e il conte Giovanni Anguissola. I due ne furono Protettori e primi membri.

Lo stesso canonico Anton Maria il 9 aprile 1629 visitò l'Oratorio e, trovandolo semidiroccato, lo fece ricostruire a spese sue, del fratello conte Giovanni e della moglie di questi Giulia Francesca Scotti.

Questa notizia é presa dal citato volume "la famiglia Anguissola" che termina dicendo che, "dopo aver costruito l'Oratorio, lo hanno fornito di mobili e donato alla Confraternita, riservandosene il dominio e ponendo sulla porta le loro armi (stemma)".

LA FACCIATA DELLA CHIESA

I cappellani nominati per la Confraternita dovevano essere bene accetti ai signori conti e loro successori. Le più antiche memorie scritte e verbalizzate sulla esistenza dell'Oratorio di S.Rocco si trovano nei verbali della Visita pastorale del Vescovo Castelli del 1579.

Dice il verbale che il Visitatore visitò l'Oratorio di S.Rocco, vi trovò l'altare spoglio sul quale si celebra la messa solo il giorno della festa del santo.

Sull'oratorio c'é una campana. Notiamo intanto che forse non era un semplice Sacello se vi si celebrava la messa; a quei tempi non sarebbe avvenuto se non c'era un minimo di ambiente; c'era poi anche una campana, che denota una certa funzione di richiamo dei fedeli.

La visita seguente del Vescovo Rangoni, nel 1599, si diffonde un po' di più. Dice che l'oratorio é posto in luogo piano (rispetto alla Chiesa parrocchiale che era più su un colle), ha il tetto coperto di nude tegole, necessitante di riparazione.

Le pareti non sono intonacate, ne imbiancate, nec'é pavimento. Non c'é statua del Santo, ma solo l'immagine di S.Rocco dipinta, quasi cancellata. L'altare é nudo, di mattoni. C'é una campanella sopra il muro della facciata tra due pilastrelli.

Anche la facciata non é intonacata, ne imbiancata. Sulla destra dell'Oratorio é dipinta l'immagine di S.Antonio. Vi si celebra nella festa di S.Rocco.

Osserva ancora il verbale: nella visita precedente si diceva che c'erano 30 soldi di reddito, ma ora non si sa dove sia no.

Nel 1825 furono delineati e attuati restauri e rifacimenti dell'Oratorio: costruzione della cappella destra dell'Oratorio in cui sarà posto il bel quadro rappresentante la Madonna, S.Lucia e S.Biagio.

LA STATUA DI SAN ROCCO

"A. Callani dipinse, 1790 circa, Carlo Girometti restaurò 1863".

E' una preziosa indicazione, anche se non di mano dell'autore, in quanto ne nei libri della Confraternita, ne altrove si riesce a trovare quando e come il detto quadro é stato messo in S.Rocco: certamente nella metà del secolo e proviene probabilmente, come riportano le Guide, da una Chiesa di Piacenza.

Verso il 1830 la Confraternita deliberò di far scolpire una statua della B.V. di Caravaggio, la cui devozione si andava diffondendo. IniziÚ cosÏ una devozione ben radicata in Rivergaro che ne celebrava la festa con grande solennità, pari se non superiore alle feste di S.Rocco e di S.Agata.

02
RIVERGARO - S.Agata

Siamo nel 1811 e la vecchia Chiesa non solo é insufficiente, ma addirittura pericolante. Questa situazione é descritta nel verbale della riunione del Consiglio di Fabbrica del 6 ottobre 1811:

"Essendo necessaria la riffazione della Chiesa minacciante ruina e per l'angustia, la congregazione della Fabbriceria ha pensato abilitare il sig. Prevosto con il sig. maire Curioni e il sig. Stabellini, tesoriere, per munirsi dell'occorrente onde ottenere l'autorizzazione dal Consiglio di Prefettura o da chi sarà di spettanza, previa però sempre di far rillevare lo stato presente della stessa ed intendere da un Intendente la spesa anche della riffazione con tutte quelle osservazioni che crederanno opportune".

E' il primo passo che dà l'avvio al lungo cammino per la ricostruzione della Chiesa parrocchiale. Ritornando allíavvio delle pratiche per la nuova Chiesa si ha, al principio del 1812, il primo passo concreto.

L'architetto Ing. Fraschina di Piacenza presentò un progetto di Chiesa. La commissione del Consiglio di Fabbriceria l'aveva ritenuto buono e accettato: così si afferma nella adunanza del 5 gennaio 1812.

In questa adunanza comunque si dà lettura di una lettera del conte Ranuzio Anguissola che doveva cedere una certa parte di terreno necessario per l'opera.

Naturalmente anche il Parroco dall'altro lato doveva mettere a disposizione terreno e parte della canonica per far posto alla costruenda Chiesa.

Il 5 aprile 1812 si decide di inviare il progetto Fraschina all'autorità civile. La petizione é redatta in francese; vi si accenna alla assoluta necessità di una nuova chiesa per motivi di statica e di capienza, come é già noto.

LA FACCIATA DELLA CHIESA

Per captare il benevolo assenso del Baron Prefetto del Dipartimento del Taro si accenna alla volontà del Consiglio di Fabbrica e di tutta la popolazione di dedicare la nuova Chiesa a Santa Maria, in omaggio e sotto gli auspici di S.M. l'Imperatrice "nostra augustissima Sovrana" e di far mettere sul portale della Chiesa una iscrizione che faccia menzione di questa circostanza.

Di fatto alla posa della prima pietra, come si vedrà più avanti, questa volontà viene scritta sulla pergamena che fu interrata con la prima pietra. Il Sottoprefetto di Piacenza Caravel incarica l'Architetto di fiducia del Governo Imperiale Antonio Tomba per alcune modifiche strutturali al progetto iniziale.

Nel frattempo é stata posta anche la prima pietra con solenne cerimonia. Esiste in Archivio il documento della Curia Vescovile e una pergamena ricordo, da pochi soldi, forse solo la copia di quella che si usava interrare con la prima pietra.

COSTRUZIONE DELLA TORRE

Nel 1819 la nuova Chiesa si é resa atta all'esercizio del culto divino, ma vi manca il più bell'ornamento e tanto necessario qual'é la torre.

La supplica continua chiedendo di dirimere la questione tra la Fabbriceria e il conte Giovanni Anguissola il quale asserisce essere di sua proprietà il terreno ove dovrebbe essere costruita la torre, il passaggio cioé tra la cinta sua e i muri della Chiesa. La petizione conclude perché si ottenga di poter costruire la torre vicino alla facciata, disposti ad accomodarsi col Conte Anguissola per quello che é giusto.

Finalmente nel 1823, in gennaio, viene risposta positiva tramite l'Amministrazione Generale del Culto e il sindaco Farina lo comunica al Prevosto.

L'INTERNO DELLA CHIESA

L'altare maggiore attuale fu collocato prima dell'apertura al culto della Chiesa. La Visita Pastorale del Vescovo Scribani-Rossi del 1919 lo descrive già al suo posto, magnificandolo come maestoso e bello, come é realmente. Proviene dalla Chiesa di S. Agostino di Piacenza, chiusa al culto.

All'apertura della Chiesa, le parti marmoree delle due cappelle, dette ancone e praticamente tutta la sovrastruttura meno la mensa, provengono pure da s. Agostino.La mensa dell'altare dell'Addolorata fu costruita a Piacenza dal marmorino Ronconi nel 1871 che, nel 1881 fece anche il nuovo Tabernacolo per l'altare maggiore.

Il bellissimo coro <da frati> che é in S. Agata proviene dalla Chiesa di S. Vincenzo di Piacenza; era il coro dei Religiosi Teatini che occupavano la Chiesa stessa prima della soppressione dell'Ordine, avvenuto qualche anno prima.

Il baldacchino pensile sopra l'altare maggiore fu fatto a Piacenza nella bottega dei fratelli Cardinali.

Il simulacro del Cristo morto ha un suo valore artistico e anche di antichità in quanto proviene dalla Chiesa dei Serviti della Madonna di Piazza Cavalli, chiesa soppressa al tempo della dominazione francese e poi abbattuta per far posto alle nuove costruzioni.

I due quadri del Santuario fino a poco tempo fa erano ritenuti uno il martirio di S.Agata l'altro il giudizio di S.Agata

L'affermazione che uno di essi, quello rappresentante il martirio di S. Margherita (non di S. Agata) fosse proveniente dalla predetta Chiesa di S. Margherita in Piacenza, chiesa soppressa, era già stata fatta.

In questa Chiesa esisteva appunto un quadro del pittore fiorentino Sebastiano Galeotti (1676-1741), come riportavano le guide di Piacenza dell'epoca.

03
ANCARANO - Castello e borgo

Mentre le prime notizie relative al nome risalgono alla Tavola Alimentaria Veleiate e all'Alto Medioevo, i dati sul castello si hanno solo nel 1466 quando di una parte di esso e del feudo era proprietario Giovanni Della Guardia.

Da lui i beni passarono al figlio Giuliano, al quale però (per l'efferato fratricidio commesso) il Duca di Milano li confiscò in favore di Giacometto Latella.

Il borgo e il castello di Ancarano subirono gravi danni attorno al 1521, quando vennero attaccati da truppe francesi (comandate da Giovanni da Birago e reduci da un assalto alla rocca di Rivalta) e nel 1526 dai Lanzichenecchi.

Data l'importanza strategica del castello, le milizie del conte Federico Dal Verme, nel 1516, dopo averlo conquistato e perpetrato violenze di ogni genere, uccisero il castellano.

IL CASTELLO

Secondo le cronache dell'epoca, i seguaci del Dal Verme rubarono argenteria, armi, casse colme di panni di lana e seta, arnesi della casa, cibarie e 1800 ducati.
L'ingente bottino fu trasportato alla Rocca d'Olgisio. In seguito venne istituito un processo contro Jacopo Dal Verme ed egli venne condannato, ma non scontò mai la pena comminatagli in virtù delle sue potenti amicizie.

Da un atto notarile dell'epoca si rileva che il castello era però già in rovina; negli Estimi di circa un secolo dopo risulta addirittura diroccato e coperto da una intricata vegetazione.
Nei secoli seguenti il castello passò più volte di proprietà: nel 1704 accanto alla fortezza sorse l'oratorio. Fra le vicende successive si ricorda l'acquisto del castello da parte della marchesa Teresa Tedaldi, maritata al conte Scotti di Vigoleno.

Nel complesso castrense, ancora ben conservato, si evidenziano agevolmente due parti; la più antica presenta due torri circolari e tracce di mura scarpate in sasso vivo.

Nella più recente -eccessivamente trasformata forse tra il 1500 e il 1600- si notano, oltre il coronamento della merlatura, belle finestre di gusto rinascimentale. Pure questa parte, adibita ad abitazione privata, è in buono stato di conservazione.

COME CI SI ARRIVA

Da Piacenza lungo la statale 45, prima di Rivergaro si svolta a sinistra per Ancarano (17 km dalla città).

05
MONTECHIARO - Antico Castello

Uno dei più interessanti e singolari castelli del piacentino è quello di Montechiaro, la cui struttura si discosta da quella tradizionale, per il solitario dongione posto in mezzo al cortile del complesso, la cui impostazione si adatta alla forma dell'altura su cui sorge.

La parte superiore della torre (nel quale si asserragliavano il feudatario e il presidio nei casi disperati per tentare di salvarsi dagli assalitori) è coronata da merli ghibellini; su una facciata una finestrella con voltino monoblocco in pietra fa pensare che la costruzione (almeno la parte inferiore) debba essere duecentesca.

Una prima muraglia di quindici metri d'altezza, lungo la quale corre il cammino di ronda, si sviluppa a forma di esagono irregolare, e ad essa si addossano i caseggiati di abitazione e di servitù sorti in epoca successiva.

Nella primitiva dimora signorile, disposta a nord-ovest, sono visibili sulle pareti di un ampio salone, tracce di tappezzerie affrescate, il cui motivo predominante è rappresentato dallo stemma nobiliare degli Anguissola, feudatari di Montechiaro.

IL CASTELLO

Sulla parete di un'altra stanza adiacente (forse in antico adibita ad oratorio) è una bella Madonna affrescata da un ignoto artista di epoca rinascimentale.

La prigione è situata in un vasto sotterraneo sui cui muri è ancora chiaramente visibile, fra altre frasi e disegni, il brano di un canto liturgico inneggiante alla risurrezione di Cristo, graffito sull'intonaco da un anonimo prigioniero. All'esterno della prima cinta, e ad una quota inferiore di qualche metro, corre una seconda muraglia il cui andamento si presenta a forma quasi ellittica.

Nel settore sud-ovest di essa è ricavato l'unico ingresso del castello, accessibile un tempo attraverso il ponte levatoio. L'estremo margine del complesso è dato da una terza cinta muraria, in buona parte diroccata che -alla distanza di una trentina di metri- si snodava anch'essa con andamento poligonale attorno al colle.

Montechiaro fu, all'epoca della sua costruzione, un caposaldo della potente famiglia dei Malaspina in direzione della pianura e di Piacenza. Forse furono essi a costruire il castello verso la metà del 1100.

Ricordato anticamente come castello di Raglio frazione più vicina, dagli "Annali Piacentini" risulta che nel 1234 venne distrutto dai popolari piacentini che avevano pure dato l'assalto a Rivergaro e a Pigazzano, nei cui castelli si erano rifugiati i nobili fuggiti dalla città durante una delle tante lotte civili.

L'abate A. Corna nel volume "Rocche e castelli del piacentino" riferisce un episodio databile al 1374, anno in cui un altro Fulgosio tentò inutilmente di occupare il castello difeso da Riccardo Anguissola.

Questi peraltro seppe bene tenere a bada gli assedianti, anzi, durante le frequenti sortite, catturò pure molti prigionieri che poi fece precipitare dall'alto delle mura.

Dopo alterne vicende, la controversia si appianò e la pace fu sottoscritta e sancita con un matrimonio tra una Fulgosio e un Anguissola.

Nel 1462 Onofrio Anguissola, alla testa di un numeroso gruppo di rivoltosi -per lo più contadini avversi al governo di Francesco Sforza- venne clamorosamente sconfitto dalle truppe ducali a Grazzano Visconti.

Sfuggito per miracolo alla cattura, l'Anguissola si rifugiò nel castello di Montechiaro dove venne catturato da suo fratello Gian Galeazzo, per ottenere il favore del duca.

Scrive il Corna: "Il disgraziato, dopo dodici anni di prigionia, fu decapitato nel 1474 nella Rocca di Binasco".

Il castello, uno dei più suggestivi del piacentino, sia per la posizione a dominio della media Val Trebbia, sia per il bel parco che lo circonda, sia per l'originale architettura, è pure famoso per il bassorilievo (ora al Museo Civico) in cui si notano gli abitanti del castello nell'atto di farsi incontro ai loro ospiti e la dicitura in lingua volgare (una delle prime testimonianze scritte) che suona: "Signori vu sie tuti gi ben vegnù e zesscun ghe verà serà ben vegnù e ben recevù".

COME CI SI ARRIVA

Da Piacenza lungo la statale 45, qualche chilometro dopo Rivergaro si incontra (appena oltrepassato Cisiano) la possente mole del castello.

06
OTTAVELLO - Castello

Nella frazione di Ottavello, che trae il nome dall'espressione latina ad oetavum milium (dell'importante «strata» romana di Val Trebbia) esiste un castello che non fu protagonista, nè testimone di fatti notevoli, se pure posto ai confini dei territori di varie ed importanti famiglie feudali piacentine come i Landi, gli Anguissola e i Radini Tedeschi.

Nel 1521 ne era signore G. Battista Zanardi Landi che nello stesso anno venne decapitato dai Francesi per essere stato trovato in possesso di lettere di ribelli anti-francesi, alleati del conte Pier Maria Scotti, detto «Il Buso» che, con il tradimento avrebbe voluto occupare Piacenza.

A pianta quadrangolare, conserva ancora molte particolarità castrensi, specialmente sul fronte principale in cui si notano gli incastri del ponte e del ponticello levatoi.

IL CASTELLO

Venuta meno la funzione militare, l'edificio venne adibito a carcere, in alcuni scritti del 19 febbraio 1811, si parla delle prigioni poste in esso e dei locali da sistemare.

Il castello (trasformato in abitazioni) attualmente si presenta costituito da due corpi di fabbrica, posti ad una certa distanza uno dall'altro. Nelle spesse mura di sasso si aprono alcune feritoie; al piano terra e nei sotterranei vengono indicate le prigioni e la cappella in cui si confessavano i condannati a morte. Alle pareti sono infissi anelli di ferro che, secondo una tradizione orale, sarebbero serviti per appendervi i corpi squartati dei giustiziati.

COME CI SI ARRIVA

Da Piacenza per Rivergaro e superato l'abitato di Settima a sinistra per Ottavello (11 km dalla città).


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